Nel novembre scorso è apparsa su questo sito la relazione di Riccardo Curreli (Direttore Responsabile della Rems di Capoterra). Relazione complessa e affascinante che ha il pregio, tra gli altri, di concentrare l’attenzione su coloro che, all’interno della Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, hanno l’incarico di “guarire” chi ha commesso dei reati senza rendersene pienamente conto. In altre parole: chi non agito con l’intenzione di fare del male ma, nel commettere un reato, è stato condizionato da una malattia mentale.
Per la legge italiana queste persone non devono stare in carcere. Il carcere serve (almeno sulla carta) a “rieducare” il reo, mentre in questi casi il reato non è stato commesso per carenza di educazione ma per la presenza di una patologia che va curata.
Questo compito grava, per l’appunto, sugli operatori della Rems, i quali sentono il peso che deriva dal loro agire in quello che si può definire come una sorta di avamposto costituzionale: un luogo di frontiera nel quale si ha a che fare con persone che, proprio a causa della loro patologia mentale, hanno pieno diritto alla cura ma devono ancora riacquistare la totalità dei loro doveri.
Per chiarire questo punto è però necessaria una breve premessa, sul diverso significato che si può attribuire a parole di uso comune come diritto, potere o dovere.
Quando parliamo di diritti siamo abituati a pensare che a ogni un diritto corrisponda necessariamente un potere: sono il proprietario di una casa e ho il diritto-potere di entrarci quando voglio. Questo è senz’altro vero per quanto riguarda il diritto privato. Nella sfera del diritto pubblico si può invece pensare al diritto come allo strumento che ci difende dal potere altrui (da quello legittimo dello stato o da quello illegittimo di chi vuole toglierci ciò che è nostro).
Se si accetta questo punto di vista si può tracciare un’ideale catena del potere. Il primo anello è rappresentato dal sovrano che, non dovendosi difendere da niente e nessuno, non ha bisogno di diritti ma ha solo poteri; negli anelli intermedi si trovano i cittadini che hanno sia diritti che poteri; nell’ultimo anello si trova chi può avere soltanto diritti, perché non è in grado di esercitare alcun potere.
Da bambini tutti noi ci siamo trovati nel primo anello – l’anello debole – di questa catena. La nostra sopravvivenza è infatti dipesa dal potere dei nostri genitori di nutrici e difenderci dai pericoli esterni. Si può anche dire che uno degli elementi fondamentali della società si possa rintracciare nella trasformazione del potere in dovere: per la legge del gruppo i genitori non hanno solo il potere ma anche il dovere di assistere i figli, i quali a loro volta hanno il dovere di assisterli da vecchi.
Tornando al diritto pubblico, nell’idea che agli onori corrispondano degli oneri si può trovare la giustificazione del potere sovrano: chi comanda ha il dovere di assicurare i diritti di chi è comandato: dall’adempimento di questo dovere discendono i benefici connessi alla carica.
Allo stesso modo, i diritti di chiunque è chiamato ad assicurare diritti altrui derivano dall’adempimento del proprio dovere (l’insegnante ha diritto ad essere retribuito se adempie al proprio dovere d’insegnare, e via dicendo), fino ad arrivare a casi in cui qualcuno ha solo diritti e, nei suoi confronti, si possono avere solo doveri.
Questo discorso appare scontato se si pensa ai bambini, agli anziani o ai malati; diventa però meno scontato quando si pensa alla particolare categoria di malati ospitati nelle Rems. Come dice Curreli nelle Rems si ha infatti a che fare con la declinazione del male, con chi: “in condizioni di scompenso psicopatologico aveva compiuto un reato, spesso contro la Persona, non raramente grave”.
Per questo motivo ci si trova in un territorio di frontiera costituzionale, nel quale per l’operatore può essere più forte che altrove la tentazione di far prevalere la propria idea di giustizia, la convinzione che in certi casi punire sia più “giusto” che curare (o rieducare). Chi dovesse cedere a questa tentazione non compirebbe però il dovere che gli è stato assegnato dalla società, e, pertanto, non potrebbe rivendicare i diritti che a tale dovere sono connessi, tra cui quello di non essere lasciati soli a fronteggiare il “male”.
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