MIA AMATA YURIKO

 

Ho trascorso i primi dieci giorni di Marzo a Città del Messico, turista con velleità culturali. Il pomeriggio dell’Otto alle quattro e mezzo sono tornato a riposare in albergo dopo un lungo giro per conventi e murales, piuttosto stanco. Qui la giornata inizia presto, e non solo per chi é alle prese con problemi di fuso orario ma un po’ per tutti, perché si é pur sempre ai Tropici, anche se a 2250 metri di altezza (il che rende la temperatura perlomeno al mattino non propriamente tropicale), ed il sole, bruscamente, sorge alle sei e tramonta alle sei, per cui mene andavo a piedi dalle otto. Sia come sia alle quattro e mezza ero in albergo, tentando di recuperare prima di cercare un posto dove mangiare, quando mi sono reso conto che i miei propositi erano disturbati da un brusio crescente, evidentemente capace di penetrare le difese di un hotel di solito abbastanza protetto dalle trafficate strade del centro.
Dopo un paio di tentativi andati a vuoto di ripararmi mettendo la testa sotto il cuscino, controvoglia mi sono alzato, ho tirato su la tapparella e ho aperto la finestra.
Il brusio si é trasformato in clamore: un fiume di persone sfilava per Il Giorno della Donna.
La densitá era interrotta ritmicamente solo da camionette dotate di impianti di amplificazione potenti, con i quali mujeres appassionate avvertivano la Mentalità Machista Che l’America Latina Sarà Solo Femminista (gridato nel loro sonoro spagnolo non solo suonava meglio ma era anche convincente, o almeno lo sembrava quando alla solista rispondeva il coro).
Non ho resistito: mi sono rapidamente rivestito e sono sceso per strada, superando il portone in genere aperto ma in questa occasione prudentemente accostato dal robusto portiere.
Sono diventato uno dei tanti partecipanti alla ricorrenza, nel mio modo: un po’ defilato, guardando e rispondendo ai saluti e ai sorrisi della gente che procedeva incurante della pioggia.
Mi hanno colpito molte cose ma in particolare tre:
– La giovane età dei presenti, fedele proiezione della favolosa demografia di un Paese in cui nove persone su dieci hanno meno dei miei 54 anni;
– La massiccia presenza degli uomini. La maggior parte delle donne sfilava mano nella mano del proprio compagno (cosa che essendo io solo mi toccava alquanto, e mi faceva pensare che forse non lo fossi stato avrei avuto il piacere di camminare in mezzo agli altri). Inoltre ai lati del corteo, anch’essi in movimento, facevano ala moltissimi hombres con una strana fiaccola di fumo senza fiamma, dando all’incedere un che di processione, anche per la compostezza generale, nonostante gli slogan fossero limpidamente laici (sull’aborto, sulla parità di diritti, sulla fatica della maternità non sostenuta);
– Il fatto che le rivendicazioni a favore della Donna fossero indissolubilmente fuse con quelle per l’eguaglianza sociale, intensissimamente manifestate. Questo non dovrebbe stupire, visto che di America Latina parliamo, ma stupiva me che mi occupo di Sanitá e Diritti ed ero inconsapevole di quanto ancora in Messico fosse vivo e intenso il mito della Rivoluzione e della collettività.
Verso le sette e mezzo la folla ha cominciato a diminuire e alle otto sono sfilate le ultime persone. Beninteso la festa non era finita: la gente si radunava nella piazza principale. E di gente, molta gente, è davvero il caso di dire: i quotidiani del giorno dopo parlavano di quasi due milioni.
Io non sono andato allo Zocalo, la piazza: c’ero passato per un motivo o per l’altro quasi tutti i giorni trovandolo sempre animato, ma non mi sentivo in grado di affrontarlo così gremito e di tornare tardi e al buio. Così ho fatto due passi in zona e sono tornato in albergo con uno stato d’animo indefinito: contento, appagato per aver visto qualcosa che di per sé poteva essere ragione del mio viaggio, ed una ragione per di più trovata casualmente, ma anche un po’ incerto, se non proprio smarrito quasi.
Non ero riuscito a guardare il flusso di migliaia di persone, di espressioni, di comportamenti ed evitare che i pensieri divenissero lo stesso flusso mobile, instabilmente proiettato in avanti ma anche bisognoso di trovare un punto fermo, magari da spettatore ai margini della corrente, e pure, perché no, con qualche rimpianto.
Dunque sono tornato in albergo, e mi sono messo a guardare le foto e i filmati fatti col cellulare, con la sensazione che il corteo mi avesse fatto venire in mente qualcosa che però non riuscivo a focalizzare.
Ad un certo punto ho scoperto di avere inquadrato un uomo che nel suo piccolo striscione dichiarava:” Cada hombre tiene una mujer que le marca la vida”.
Dovevo aver letto la frase tra le tante che mi erano passate davanti, senza rendermi conto di averla memorizzata, e dopo averla riconosciuta ho cominciato ad interrogare quello che mi suggeriva, di personale e no.
La frase mi ha richiamato un libro di Antonietta Pastore ambientato in Giappone, dove la gente che ho visto ha gli stessi occhi a mandorla dei Messicani, e la stessa gentilezza, anche se declinata con più formalità e in un colore della pelle diverso. I Giapponesi e Messicani condividono anche i terremoti, e gli uni e gli altri sono 120 milioni. Per il resto può darsi che siano diversi, ma già da qualche giorno, camminando per la città, mi veniva da pensare quanto i Messicani mi sembrassero orientali.
Antonietta Pastore é nota in Italia per essere la traduttrice di molti libri di Murakami Haruki e di altri scrittori giapponesi, ma questa è la terza prova nel ruolo diverso dell’autrice.
È una donna autonoma, indipendente, che ha diviso la sua esistenza tra Italia e Giappone, e non solo in termini abitativi o professionali.
Il libro in questione si chiama “Mia amata Yuriko”, e mi è difficile parlarne senza incorrere nell’errore di anticiparne la trama, il che significa però anche privarsi del piacere di descrivere qualcosa che si vorrebbe condividere.
Il libro racconta di una vicenda accaduta in Giappone alla fine della Seconda Guerra Mondiale, interessante di per sé ed in più tornata di grande attualità dopo il disastro di Fukushima.
Ma oltre che della vicenda, che potete ricavare da qualunque anteprima, parla di una donna la cui vita é segnata (marcata) profondamente da un uomo, e viceversa, rovesciando e completando la verità dell’uomo del cartello.
Antonietta Pastore racconta di come i rapporti tra uomo e donna dipendano in egual misura dalle inclinazioni personali e dalle convenzioni sociali, e lo fa con una semplicità tersa che lascia ai grandi scrittori i fiumi di parole che essi sanno usare.
Il Giorno della Donna ha ispirato a quell’uomo le poche lapidarie parole che mi hanno toccato come questo libro che mi permetto di consigliare.

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