Si possono amare i Velvet Underground senza “sposare” lo stile di vita descritto nelle loro canzoni? Su questo argomento riceviamo, e volentieri pubblichiamo, le riflessioni di un caro amico che preferisce restare anonimo.
La “celebrazione” del cinquantenario del disco della Banana pone, a chi ha, a vario titolo, assistito da lontano o vissuto da vicino, il massacro di corpi, anime e patrimoni provocato dall’eroina, dagli anni settanta in poi, almeno un interrogativo. Interrogativo non da poco visto che riguarda i rapporti tra l’etica, in questo caso la riprovazione morale per l’eroina, e l’estetica, in questo caso la dolcissima poesia decadente di Lou Reed con i Velvet Underground.
Due decenni dopo l’uscita del disco, l'”etica” anarcoide delle periferie urbane di Roma capitale, consegnava ai punk di tutta italia l’inno “No eroina”, uno splendido, straordinario pezzo cantato e gridato dai Bloody Riot di Roma e dal suo cantante Roberto Perciballi, scomparso di recente.
“No eroina è la tua rovina” era il verso finale del pezzo che ne sintetizzava il messaggio ed il valore di rifiuto di un intera subcultura.
Se l’etica, e l’estetica Hardcore Punk, guida, senza fatica ma anche razionalmente, la passione verso i Bloody Riot, la poesia mi fa ascoltare con il calore di sempre la tenerezza e la melodia della voce di Nico.
La domanda potrebbe essere quindi riformulata così: in che rapporto sta l’opera d’arte con la morale? Non ho le forze intellettuali, e tantomeno la voglia, di tentare una risposta e di argomentarla. A occhio e croce direi, e spero di non sbagliare, che non c’è nessun rapporto. Sono due piani distanti, l’arte e la morale. Distanti sì, ma di una distanza che varia col tempo e i contesti emotivi della fruizione dell’opera d’arte, in questo caso dell’ascolto visto che si tratta di un disco, oltre che con quelli culturali.
In fondo spero sia così, ma poi non ne sono tanto sicuro. Mi basta continuare a godermi i Velvet e non dovermi far piacere per forza alcunchè.
Adoro quel disco fatto di pochi accordi di cui ho suonato tante volte le canzoni, ma, per usare le sue parole, l’eroina non me la son sposata, ne carnalmente ne ideologicamente, e non è stata, per fortuna, la mia vita.
Verso ciò che è raccontato poeticamente nel disco non ho niente da celebrare se non il mio odio, si, il mio odio misto alla paura, la mia distanza culturale, umana, sanitaria e sociale, ideologica.
A vent’anni ho potuto ascoltare l’urlo di ribellione contro l’eroina di quei “ragazzi della strada” Romani di cui andavo a vedere i concerti. Sentivo che stava finendo un’epoca ed altri ragazzi avrebbero potuto gridare la loro ribellione ed il rifiuto di quel fenomeno, di quella pratica molto poco rivoluzionaria che è massacro e dipendenza da una sostanza chimica che ha fatto, e continua a far perdere, amici cari, figli e molte altre cose.
L’ingenuità dei testi punk mi ricorda talvolta quella del Beat, forse per quello mi piaceva.
Celebrerò la “banana” con i miei amici cercando di non pensare altro. Al rientro metterò nel piatto, o su You tube, i “versi” sgraziati di Robbertone, accompagnati come quelli di Reed dal suono di una Fender, dal suono caldo e distorto:
“… Non riesci più a vedere che c’è un ago nelle tue vene, un ago sporco di sangue, c’è stanchezza nella tua testa, stanchezza e pesantezza, hai perso la tua voglia di essere, la tua voglia di lottare, la tua vita è come un incubo, un incubo senza fine”
Forse è solo la poesia che si è trasformata e ha traslocato, trovando casa a Centocelle almeno per un po’, il tanto di mostrarsi su qualche palco di periferia mentre seminava l’odio per l’eroina tra tanti, tantissimi ragazzi di strada.